107-L' AMMINISTRATORE INGIUSTO-Sequela

 

L’AMMINISTRATORE INGIUSTO Luca 16,1-8



Amministratore infedele, sembrerebbe un titolo non esatto, piuttosto sarebbe preferibile ingiusto.
 
Questo servo curatore comunque viene accusato. Si sparge la voce che questo servo non cura bene gli interessi del padrone.
Il ricco signore interviene e chiede perché di questa amministrazione fraudolenta.
 
 Il curatore è con le spalle al muro, non può più scappare, accetta il giudizio, si sente mancante, e si riconosce in quello stato.
Se avessi avuto fede... pensa: non mi sarei trovato in questo guaio.
Se queste sono le mie opere: non avrò merito alcuno.

Mi sono servito dei tesori del padrone per me stesso senza pensare agli altri, a distribuirli, a condividerli, sono stato avaro ed egoista su quello che non è mio, sono servito a poco.

Il padrone mi ha lasciato ancora un po’ di tempo, vedrò di poter rimediare.

Non c’è sgomento in lui, né paura, solo constatazione di ciò che è, ma anche di cosa sarebbe voluto essere. Forse pur provandoci, non ha potuto essere quello che voleva.

Comunque gli errori sono suoi.

Cerca un modo per porre rimedio alla disubbidienza verso il padrone.

Usa l’intelligenza e la scaltrezza previdente, concreta. Pensa… e ragionando si ricorda di non essere solo. Si rende conto che gli altri esistono: fino ad ora lo avevano interessato poco, nei sentimenti, negli affetti, nell’amicizia, ed ora potrebbero aiutarlo se li facilitasse.

Cerca una prospettiva futura facendo opere buone: dei favoritismi oggi ad alcune persone per ottenere favori futuri, per se stesso, domani. 

Ritrova così per necessità e per calcolo quelli che per vocazione non avrebbe mai dovuto ignorare.

Rischia forse, ma ha davanti soltanto ancora due strade.

La fiducia, la fede ancora una volta, soltanto nel suo padrone, sa che non sarà sufficiente.

Usando coraggio e cuore, rimette in parte i debiti che altri lavoratori avevano nei confronti del suo padrone.

Si assume in pratica il debito più grosso: lui sarebbe stato comunque debitore.

Sapendo di essere mancante cerca almeno di alleviare i debiti agli altri servitori che sono nelle stesse sue condizioni.

Comportamento nobile se si pensa all’egoismo umano, quell’egoismo così materiale e personale che vorrebbe protrarsi anche oltre la morte: là, in cielo, come in aereo, non si possono portare valigie pesanti.

Così gli averi che rimangono sulla terra neppure li possiamo trattare come fa Mazzarò nella novella “La roba” del Verga che prende a calci le cose, gli animali e bastona i suoi lavoranti perché sa che deve morire.

 

Oggi succede la stessa cosa, alcune persone quando sanno che stanno per perdere qualcosa, o sanno che dovranno morire, non hanno più rispetto per le cose, le persone e producono sofferenza, malvagità, danni e morte.

Leggiamo sui quotidiani che ci sono persone che si drogano e dopo piantano le siringhe infette sulle spiagge per contagiare anche altre persone.

E’ d’attualità, ne è stata infilzata una sotto la sedia di un tram e una persona si è bucata.

I malati di AIDS, che sapendo della loro malattia e del danno che possono procurare, non esitano comunque a contagiare il proprio partner.

I dittatori sapendo che avrebbero dovuto lasciare il loro potere perché il popolo non voleva più sottostare alla loro tirannia, hanno scatenato guerre civili, fratricida, mandando a morte migliaia di persone.

Che comportamento disonesto e malvagio! Non rispettare la terra, l’umanità, la vita.

 

Quanto è diverso il credente, specialmente quando sa che deve rendere conto del suo operato, quando è vicino alla sua dipartita.

E’ disponibile a dare, a donare, a lasciare tutto, a rimettere: sa che avrà di meglio!

Gli altri certamente rimarranno ancora debitori, ma il debito è stato dimezzato.

Più facile è il pagamento quando la somma è più vicina all’estinzione del debito.

Questo fattore dimostra così di non essere ne egoista, ne avaro: avrebbe potuto tenere per se il denaro, magari falsificare i conteggi, ricattare i suoi debitori, fare l’usuraio.

Sa invece rimettere i debiti che gli altri hanno con lui e con il suo padrone.

Rispetta questa regola fondamentale che il padrone gli ha dato:

Perché se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.”  Matteo 6:14,15

Risulta così facendo: avveduto nel rapporto con il suo prossimo.

Dimostra di saper dare un buon valore ad un rapporto affettivo, di amicizia, di comprensione, di accoglienza, di amore con i suoi simili.

Sceglie un rapporto spirituale al posto di quello materiale basato sul denaro.

Mette in evidenza la sua fedeltà in queste piccole cose e serve, anche se con delle mancanze, ad un solo padrone, il suo: colui che gli chiederà conto, ma di cui conosce il perdono, la sua misericordia, il suo affetto.

Il testo, è molto chiaro: Il ricco signore è Dio, la parabola è indirizzata per insegnamento ai discepoli, ma anche a tutti i credenti della chiesa futura, quella chiesa che in tutti i suoi ministeri è l’amministratrice, di tutto quello che Gesù ha loro affidato…ci ha affidato.

Affinché tutti siano chiamati e tutti siano eletti. Allo stesso modo la chiesa non può più pensare di essere la sola al mondo come se fosse la sola realtà umana di valore agli occhi di Dio.

In questa parabola le viene chiesto di adoperare il cuore e l’intelligenza: di usare benevolenza al posto della colpevolizzazione, grazia al posto del giudizio, saper sdrammatizzare, aiutare, saper farsi degli amici in ogni parte del mondo soprattutto quando sappiamo possano avere dei debiti nei nostri confronti e in quelli di Dio.

Saper andare in questo mondo ad elargire senza condizioni la giustizia, la pace e l’amore fraterno. La grazia che annunciamo a noi e al mondo è il tempo in cui la chiesa può riprendere coscienza, riconoscere i suoi errori, ritrovare la vocazione dell’annuncio, gratuito e disinteressato.

Abbandonare pensieri e programmi di autogestione e riconsiderare la sovranità di Dio.

La chiesa al di fuori del compito che Dio gli ha assegnato, sa fare ben poco, è incapace e inutile se non si impegna nella sua missione, come l’amministratore.

In questo mondo dove tutto si calcola, si compra e si contratta: deve sapere evidenziare i segni della gratuità. In questo mondo ferito dalle guerre, straziato dalla disperazione e dalla fame per aprire le porte della concretezza, della solidarietà per una speranza comune, sapendo che non tutto è vano, non ci sono solo debiti e condanne per l’umanità: ma anche misericordia, perdono e l’aspettativa del regno.

Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza l'autocontrollo; all'autocontrollo la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l'affetto fraterno; e all'affetto fraterno l'amore.
Perché se queste cose si trovano e abbondano in voi, non vi renderanno né pigri, né sterili nella conoscenza del nostro Signore Gesù Cristo. 2^Pietro 1:5¸8



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