71-ASCESA A GERUSALEMME-Liberazione


GIOTTO


















INGRESSO DI GESU' IN GERUSALMME Marco 11,1-11

Quando furono giunti vicino a Gerusalemme presso il monte degli ulivi, simbolo di pace e stabilità.
Trovando in se stesso la parola profetica, Parola di Dio, rispettandola ed adempiendola, Gesù, manda a prendere un puledro d’asina su cui nessuno è ancora salito.
Docile somaro, forte ma mite, facile da governare e nutrire, paziente, senza risentimento verso l’uomo che lo asserva e a volte lo tratta male.

Gesù, rifiutando il cavallo come segno di potenza, prestigio e vittoria, montando un asino al momento del suo ingresso trionfale in Gerusalemme, dimostra oltre che a conoscere le scritture, e quindi compiere le profezie; sa altresì che l’animo dell’uomo fa presto a cambiare, e passare dall’ esaltare una persona ad atterrarla dopo poco tempo.
Rivela veramente la sua umiltà: la disposizione d’animo verso un popolo che si attende qual cosa da Lui, la sensibilità affettiva degli antichi re; vede aldilà dei sentimenti umani e raggiunge confini di premura eterna.
Esulta grandemente o figliuola di Sion, manda gridi di allegrezza, o figliuola di Gerusalemme; ecco il tuo re viene a te; egli è giusto e vittorioso, umile e montato sopra un asino, sopra un puledro d’asina…Egli parlerà di pace alle nazioni, il suo dominio si estenderà da un mare all’altro e dal fiume fino all’estremità della terra.” Zac.9,9-10

Il dorso dell’asino ricoperto di mantelli per farlo stare più comodo e dare una parvenza di regalità, poi altri mantelli stesi e le fronde degli alberi tagliate come un tappeto al passaggio del re che viene a risolvere e a regnare.
Tutti, davanti e dietro, gli avi e i posteri, movendosi gridano: Osanna!Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il re d’Israele! Benedetto il regno che viene!


          
Ecco, questa è l’ora dell’esultanza, il grido di entusiasmo di un popolo che acclama il suo re, che entra nella città santa, città di giustizia, di pace e di prosperità perenne.

Le porte stesse si spalancano e gli alberi tutti battono le mani; è la festa dell’uomo e della natura.
Quanti popoli anelano questo?
Quanti re però sono stati innalzati per i loro grandi ideali e dopo con violenza destabilizzati per i loro fatti di eccidio morale!
Gesù conosce la storia, anche la sua! Lui è un re diverso; il RE dei re.

Anche qui ecco il miracolo, velato e nascosto. Il miracolo della gratitudine: prodigio interiore, non umano, che contraddice la propria natura. Questo momento interrompe la forza naturale del risentimento e dell’amarezza verso chi fa del bene gratuito; si ferma l’ironia verso chi ci sembra buono; più buono di noi, chi è senza interesse speculativo, si ferma il giudizio su chi è privo di colpe.
                           

La gratitudine di questa folla, forse di ogni folla, non è affetto ingenuo, ma è una sorta di egoismo umano, seppure morbido e delicato, di chi sta per avere un beneficio, un affetto di scambio meccanico, istintivo, e per questo più umano, più forte, esuberante, divampante, che brucia come un fuoco che però dura poco.
Una scarica istantanea e sincera di umanità, di altruismo, di eternità che nasconde il pensiero di un debito ancora aperto, una grazia ancora da accettare, una bontà non necessaria per non sentirci debitori, per ristabilire un equilibrio che pensiamo non avere perduto, per esorcizzare la paura del dovere e del domani.
Quest’esplosione di solidarietà e di consenso verso un uomo che dice di venire da Dio è perché la folla è certa che Lui elargirà ancora, darà ancora, si donerà al popolo.

            

Il regno, la sete del vecchio sogno di gloria sarà placata, la vendetta sulle angherie subite sarà gustata, il benessere sarà duraturo e completo.

Attorno all’asino e a Gesù, non c’è che la folla spoglia, messa a nudo con i suoi bisogni più credibili.
I loro mantelli migliori e più belli gettati ai piedi di Cristo, uomini e donne veri e reali nel loro stato, scoperto a tratti dallo sventolio delle fronde degli alberi innalzate, si vedono le gambe degli storpi guariti che saltellano di gioia, le mani secche, ora distese, alzate al cielo come una preghiera, una danza.
Gli occhi dei ciechi aperti alla luce del sole, del giorno nuovo che arriva, visi gioiosi e felici, puliti e rifioriti dalle croste di lebbra, e i resuscitati alla vita, che cantano la gioia, la festa della primavera celeste.
Tutti sono qua, gli entusiasti distributori dei pani e dei pesci, i riempitori di anfore vuote, gli scambia monete mondani, le meretrici che attingono al pozzo, i pescatori stupiti dell’abbondanza, i demoralizzati seminatori di aride zolle e gli stanchi raccoglitori di messi mature, argentate; oggi in questa ridda di persone e colori festeggiano Cristo in questo breve trionfo del bene.
Oggi questi uomini frastornati e frantumati, queste donne inferme, questi bambini innocenti;
                                                                                  











                                
oggi questi sono molti!
Non lo tradiranno, ma saliranno al tempio santo così come sono, per entrare, per infrangere ancora e lacerare il velo che copre il sacro e la santità, con la vita loro malata e profana, perché oggi Dio è con loro.
Lo seguiranno, lo innalzeranno e continueranno a gridare Osanna! Osanna!
Osanna ogni giorno, e avanti nei secoli; ed oggi… ancora si muovono, festeggiano, ci danzano intorno; e loro scontriamo, in loro a volte inciampiamo e cadiamo, ma in loro, poi, tutti ci identifichiamo.

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