46-L'umanità e i bambini-GESU' e i bambini- Sequela

L'UOMO E I BAMBINI???

FERMIAMO LE GUERRE: CRIMINI CONTRO L'UMANITA'!!!




























GESU' E I BAMBINI Marco10,13-16

Il racconto si colloca in un momento in cui Gesù sta insegnando alle folle. I Farisei cercano di metterlo alla prova e sempre Gesù risponde con sapienza e qualità superiori; per cui la folla intorno che ascolta si entusiasma e gli presenta dei bambini (non neonati ne di pochi mesi, 3-7anni) affinché venissero toccati ed essere da Lui benedetti.



A discapito dei farisei perché, secondo il costume giudaico, i genitori erano soliti di sabato benedire i loro bambini. Nel grande giorno dell’Espiazione (il giorno del solenne digiuno) si usava presentare i bambini agli scribi perché li benedicessero. Il bambino non era nel giudaismo oggetto di particolare attenzione: non possedendo la conoscenza della Legge, condizione indispensabile per salvarsi, non meritava considerazione alcuna.



I discepoli dunque si comportavano secondo la mentalità corrente.
I bambini non possono aver parte nella comunità perché disturbano e non possono comprendere la Parola. Solo a 13 anni, dopo essere stati istruiti, possono diventare “figli della Legge”.
Essi rappresentano gli esclusi perché considerati incapaci e dunque disprezzati da coloro che detengono la Legge, che pretendono di averne l’esclusivo possesso e considerano lontano da Dio chi non è come loro.



Anche nella comunità dei discepoli di Cristo nata da poco può albergare il rifiuto di chi è considerato incapace, obbedendo in tal modo a pregiudizi sociali spesso fondati su motivazioni economiche o di riconoscimento mondano, culturale e religioso.

Anche nella Chiesa, nelle nostre comunità questi segni esterni nei confronti dei piccoli si sono manifestati fino agli anni 30: 
i bambini sono stati allontanati dal Signore perché disturbavano.
Ma la sua Parola piena di misericordia ci richiama a ciò che è giusto.



Per questo Gesù dice: «Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli». E, presili in braccio, li benediceva ponendo le mani su di loro.
È volontà del Signore manifestare il suo amore misericordioso per i piccoli, gli insignificanti, quelli che nessuno considera. Egli ammonisce i suoi discepoli a farsi strumento affinché vengano accolti e benedetti. Quando questo non avviene, il Signore si indigna, perché si identifica nei piccoli del mondo e quello che viene fatto a loro è come fosse fatto a Lui.



Il Signore impone loro le mani, un gesto semplice ma di significato; di frequente richiamato nella Scrittura ( per trasmettere saggezza e autorità, per benedire i figli, per guarire, su persone per affidare un ministero). E mentre Matteo dice che bisogna diventare come i bambini per entrare nel regno, qui Marco afferma che il regno appartiene a chi è come loro.
Ma cosa vuol dire???
Certamente non è l'innocenza, ne la purezza a determinare l'entrata nel regno, perché nessuno è puro, nessuno è innocente, neppure un piccolo appena nato( salmo 51,5) ma è la disponibilità a comprendere ed accogliere la Parola di Dio. L'innocenza non è una categoria biblica, nessuno nasce innocente, ne può diventarlo, mentre si può essere più o meno disponibili alla Verità.



Siamo nati tutti sotto il peccato e quindi peccatori; diventando adulti perdiamo questa disponibilità, questa sensibilità alla Parola della vita di Dio: della vita fisica e sopratutto di quella spirituale perché condizionati dalla concupiscenza del peccato e dalla violenza della morte.

La morte dei bambini, la violenza sui bambini, i tumori in tenerissima età, la sofferenza: provocano domande senza risposta. Simbolo di questa sofferenza attuale è il bambino di Aleppo estratto vivo dalle macerie, impolverato e il viso macchiato di sangue, violentato dalle bombe degli uomini,( 130.000 bambini siriani sono in questa condizione: niente medicine, niente acqua e generi di 1^ necessità). Delitti verso gli innocenti.















Gli ospedali dove vengono curati questi bambini si sono equipaggiati con psicologi, psicanalisti, per aiutare anche i medici che cadono in depressione, che si stressano e mettono in pericolo la loro professione al pensiero di queste morti precoci.
Pensiamo ai campi di concentramento, alla fame in Africa, ai bambini denutriti del mondo, alle bombe siriane, alle bombe di Hiroshima: ombre spalmate sulle rocce, ai morti in mare depositati sulle spiagge, alle bianche croci che affondano nell'ignoto. Crimini contro l'umanità.



Dio non vuole, non ha mai voluto questo!
C'è riluttanza però ad affrontare il problema della morte, specialmente quella dei bambini, anche dalle religioni e questo mette in dubbio la fede e l'esistenza di Dio.

Occorre riflettere e affrontare il problema anche se non si ha una risposta immediata e semplice.

Alla morte prematura, una volta, per la Chiesa Cattolica i bambini andavano al limbo ora sono angioletti: sopra i 12 anni, gli adulti sono angeli. I bambini vanno in cielo: nel regno dei cieli, gli adulti se non battezzati non vi potranno accedere.
Il limbo, era, dico era, perché sembra non essere più, un luogo senza gioia e senza pena, dove sarebbero finiti i bambini non battezzati, insieme con i giusti morti prima di Cristo: per sempre. Questa dottrina, che pure è stata comune per secoli, e che Dante ha inserito nella Divina Commedia, non è stata mai ufficializzata ne chiarita dalla Chiesa. Era una ipotesi teologica provvisoria, in attesa di una soluzione più soddisfacente e, come tale, superabile grazie a una migliore comprensione della parola di Dio. Il bambino non nato e non battezzato si salva e va a unirsi subito alla schiera dei beati in paradiso. La sua sorte non è diversa da quella dei Santi Innocenti che festeggia subito dopo Natale. Il motivo di ciò è che Dio è amore "vuole che tutti siano salvati": Cristo è morto anche per loro!















BONTA' DIVINA finalmente! Quindi ora viene insegnato che, quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa Cattolica non può che affidarli alla misericordia di Dio, come fa nel rito specifico dei funerali per loro.
E' la tenerezza di Gesù e la verità della sua Parola a farci affermare a noi evangelici che c'è sempre stata una via di salvezza diretta al cielo per i bambini, gli esclusi, gli emarginati, gli incapaci: perché disponibili...li vuole accanto a sé. Si! Ma in casi eccezionali: noi abbiamo il compito di proteggerli, salvarli, educarli, coccolarli.
Ma chi è come loro? Chi, adulto è così come loro: bisognoso di tutto e che assimila tutto, chi si fa prendere in braccio dal Signore come un bambino e accoglie il puro latte spirituale della Parola?
Se non sei nato d'acqua e di spirito... Giovanni3,5




Qui la speranza, che tutti possono accedervi per grazia mediante la fede è intesa come la possibilità di essere educato dalla Parola, dal tocco e dall'insegnamento di Gesù, dalla vita e dalla gioia che muove attorno a se.
La responsabilità ora, anche nostra di indirizzare la speranza alle domande: dov'è Dio? In cielo! Dov'è il cielo? Cosa sta facendo in cielo, mentre qua sulla terra c'è malvagità, sofferenza e morte! Fa risorgere i morti? Quando? Ne hai mai visto tu qualcuno?
La spiritualità, non soltanto dei bambini potrebbe crescere e partire da queste domande.





























Cosa è giusto pensare di Dio? Cosa è giusto saper dire?
La fede non soltanto dei bambini si concretizza con quello che tu sai dire, con quello che i genitori sanno dire, con quello che si impara alla scuola domenicale: luoghi della speranza.
Le risposte sul futuro della chiesa e del mondo, su ciò che è il presente, sono veramente la corretta trasmissione e devono restare come modo giusto per dire le cose e insegnarle: risposte da dare e depositarle perché diventino valore sociale domani nella chiesa, nella strada, nelle relazioni, nelle esperienze di vita; contenitore da riempire per poi riversare.




Le chiese danno questa speranza alle nuove generazioni, combattendo e condannando il male, la violenza, la ferocia dell'uomo e dei suoi governi e fanno maturare la spiritualità, quella giusta che crea sicurezza e che valorizza per creare e rimandare risorse per il cambiamento segno del regno che viene.





Saper comunicare la fede è saper ascoltare le domande e saper resistere alla tentazione di dare subito le nostre proprie risposte; saper pazientare, a volte, seduti, senza fretta, con in braccio coloro che nessuno considera, ma che saranno i nuovi testimoni ed enunciare le risposte determinate da esperienze diverse, da fedi diverse, da vite diverse, ma sapendo che Dio è amore, odia il male e la malvagità e che Gesù accoglie, conosce ogni cosa ed è più grande del mondo e della morte.



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